Israele apre ai negoziati per la fine della guerra a Gaza: primi aiuti e nuove vittime
- piscitellidaniel
- 19 mag
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Il 2 marzo 2025 si è aperto un nuovo capitolo nella lunga e dolorosa crisi della Striscia di Gaza. Israele ha annunciato ufficialmente la disponibilità ad avviare negoziati per un possibile cessate il fuoco, in cambio del rilascio di ostaggi e di garanzie sulla sicurezza a lungo termine dei propri cittadini. La notizia giunge in una giornata ancora segnata dalla violenza: sono almeno 19 le vittime registrate tra i civili palestinesi a seguito dei bombardamenti israeliani condotti durante la notte. Nella stessa giornata sono entrati per la prima volta da settimane convogli umanitari attraverso il valico di Rafah, portando aiuti indispensabili alla popolazione allo stremo.
La svolta diplomatica israeliana arriva dopo mesi di operazioni militari intense e dopo le crescenti pressioni internazionali. Il governo guidato da Benjamin Netanyahu ha confermato l'apertura a una trattativa, sottolineando però che l’obiettivo ultimo rimane la “smilitarizzazione completa di Gaza” e la “neutralizzazione delle capacità operative di Hamas”. La proposta include un cessate il fuoco temporaneo, destinato a creare le condizioni logistiche per la liberazione degli ostaggi israeliani ancora detenuti e l’avvio di colloqui multilaterali sotto la supervisione di attori internazionali.
Parallelamente, nella giornata del 2 marzo si è registrato un evento considerato di portata significativa sotto il profilo umanitario: l’arrivo dei primi aiuti alla popolazione civile. Il valico di Rafah, rimasto chiuso per diverse settimane, è stato parzialmente riaperto per consentire il passaggio di convogli delle Nazioni Unite e della Mezzaluna Rossa egiziana. I camion trasportavano generi alimentari, medicinali e riserve idriche, destinati a migliaia di famiglie rimaste senza accesso ai beni di prima necessità. Secondo l’UNRWA, almeno l’80% degli abitanti della Striscia vive oggi in condizioni di emergenza assoluta, aggravate dalla distruzione delle infrastrutture civili e dalla chiusura dei canali di distribuzione.
A rendere ancora più drammatico il contesto è la continua attività militare. Solo nella notte tra il 1° e il 2 marzo, raid israeliani hanno colpito obiettivi strategici nei quartieri di Khan Yunis e Deir al-Balah. Fonti locali parlano di edifici residenziali colpiti in aree densamente popolate, con numerosi feriti e sfollati. L’esercito israeliano sostiene di aver preso di mira depositi di armi e centri di comando di Hamas, ma le testimonianze raccolte da diverse ONG indicano una preoccupante quota di vittime civili.
Sul piano diplomatico, le reazioni internazionali sono arrivate tempestive. Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha parlato di “spiraglio da cogliere con determinazione”, auspicando che il cessate il fuoco temporaneo possa diventare il preludio di un processo politico stabile e inclusivo. Anche l’Unione Europea si è detta pronta a sostenere logisticamente e finanziariamente un’eventuale missione di monitoraggio, se verranno fissati parametri chiari per il rispetto del diritto internazionale umanitario.
Gli Stati Uniti, tramite il segretario di Stato Marco Rubio, hanno confermato il proprio ruolo di mediatore tra le parti, ribadendo tuttavia che qualsiasi soluzione dovrà garantire in primis la sicurezza di Israele. Washington ha inoltre espresso forte preoccupazione per la crisi umanitaria e ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti per la popolazione palestinese pari a 120 milioni di dollari, destinati a sostenere ospedali da campo, approvvigionamenti alimentari e la riparazione delle reti idriche.
All’interno della leadership palestinese, il fronte rimane diviso. Hamas ha accolto con prudenza l’annuncio israeliano, affermando attraverso il portavoce Abu Obaida che ogni negoziato sarà preso in considerazione solo se vi sarà un impegno reale a “porre fine all’occupazione e al blocco della Striscia”. Al contempo, l’Autorità Nazionale Palestinese ha sollecitato l’apertura di una conferenza di pace regionale che coinvolga anche gli Stati arabi, sottolineando la necessità di un nuovo quadro politico che superi lo status quo degli ultimi anni.
Nella popolazione civile, stremata da mesi di conflitto e privazioni, prevale un misto di speranza e scetticismo. Molti vedono nei primi aiuti un segnale concreto di miglioramento, ma altri temono che si tratti solo di una pausa tattica destinata a essere interrotta da nuove ostilità. Organizzazioni locali riferiscono che nelle ultime settimane si è assistito a un aumento degli sfollamenti interni, con decine di migliaia di persone rifugiate in scuole, moschee e campi di fortuna allestiti in zone ritenute meno a rischio.
Il futuro della Striscia di Gaza resta appeso al filo sottilissimo del negoziato. L’avvio di contatti formali tra le parti rappresenta una novità dopo mesi di totale contrapposizione, ma la distanza tra le posizioni resta significativa. I prossimi giorni saranno decisivi per comprendere se il fragile canale diplomatico potrà evolversi in un’intesa strutturale o se si assisterà all’ennesima recrudescenza del conflitto.
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