Dazi e lavoro, l’allarme dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio: 68mila occupati a rischio in tutti i settori produttivi
- piscitellidaniel
- 17 apr
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La reintroduzione o l’inasprimento dei dazi commerciali tra Stati Uniti ed Europa potrebbe avere ricadute significative sull’intera economia italiana. A lanciare l’allarme è l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB), che in una recente analisi ha stimato una possibile perdita occupazionale fino a 68mila unità nel caso in cui venisse attuato un regime tariffario generalizzato sui prodotti europei esportati oltre Atlantico. Lo studio si inserisce nel quadro delle valutazioni economiche legate all’escalation protezionistica internazionale, con riferimento particolare alle posizioni assunte dall’amministrazione Trump, tornata a ventilare nuovi dazi sulle importazioni europee in caso di vittoria alle presidenziali.
L’impatto potenziale è trasversale e colpisce tutti i settori industriali italiani con una spiccata propensione all’export. I comparti più esposti sono quelli dell’agroalimentare, della meccanica strumentale, della chimica fine e dell’automotive. Il danno non si misura soltanto in termini di calo della domanda estera e conseguente contrazione della produzione, ma anche in perdita di efficienza per tutta la filiera, che si vedrebbe costretta a riorganizzare forniture, rotte logistiche e strategie commerciali. La struttura produttiva italiana, fortemente integrata nelle catene globali del valore, soffrirebbe in particolare la minore attrattività verso investitori esteri e clienti internazionali, impattando sia sulle grandi imprese esportatrici sia, soprattutto, sull’indotto costituito da piccole e medie imprese.
Secondo i modelli previsionali adottati dall’UPB, l’effetto di un regime daziario del 20% esteso su tutti i beni esportati potrebbe tradursi, nel medio periodo, in una riduzione del PIL pari allo 0,5%, accompagnata da un peggioramento del saldo della bilancia commerciale. Le perdite di posti di lavoro si concentrerebbero soprattutto nelle regioni più industrializzate, in particolare il Nord-Est e l’Emilia-Romagna, dove maggiore è il peso delle attività manifatturiere orientate ai mercati esteri. Il comparto agroalimentare, che solo negli Stati Uniti vale circa 5 miliardi di euro l’anno per l’Italia, potrebbe vedere un calo drastico degli ordinativi, in particolare su prodotti a denominazione come formaggi, vini, prosciutti e pasta.
Ma a preoccupare è anche la possibilità che i dazi si traducano in un effetto moltiplicatore negativo a livello macroeconomico. L’aumento dei prezzi all’importazione ridurrebbe il potere d’acquisto delle famiglie e accrescerebbe i costi per le imprese che utilizzano componenti esteri, generando un ulteriore impulso inflazionistico. In uno scenario di tassi d’interesse ancora elevati, questo quadro potrebbe determinare una stagnazione prolungata.
L’UPB sottolinea come una strategia di difesa debba articolarsi su più livelli. In primo luogo, occorre intervenire sulla diversificazione geografica dei mercati di sbocco, rafforzando le relazioni commerciali con Paesi emergenti o partner più stabili. In secondo luogo, è urgente investire in tecnologia, innovazione e transizione ecologica per rendere più resilienti le imprese italiane ai cambiamenti nei flussi di scambio globali. Infine, andrebbero potenziati gli strumenti pubblici di sostegno all’export, come SACE e SIMEST, nonché le politiche attive per il lavoro, volte a riqualificare i lavoratori eventualmente colpiti dalla riconversione industriale.
In questo contesto, il ruolo delle istituzioni europee è cruciale. La Commissione UE, impegnata nel negoziato commerciale con Washington, dovrà bilanciare fermezza e diplomazia, cercando di scongiurare una nuova guerra commerciale che avrebbe effetti distorsivi soprattutto per le economie più aperte come quella italiana. Parallelamente, l’Italia dovrà farsi trovare pronta con misure strutturali e con una capacità negoziale rafforzata anche attraverso l’utilizzo delle leve fiscali europee e del supporto alla produzione locale.
La lettura fornita dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio conferma quanto l’apertura dei mercati resti essenziale per la tenuta dell’occupazione e per il posizionamento internazionale del sistema produttivo italiano. Con 68mila potenziali posti di lavoro a rischio, il tema non è più solo economico ma anche sociale, e richiede un approccio sistemico in grado di affrontare con lucidità e rapidità le sfide del nuovo scenario globale.
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