Dai simboli della fantasia ai rituali politici: come la politica italiana rielabora miti, narrazioni e tradizioni per parlare all’elettorato
- piscitellidaniel
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La politica italiana continua a utilizzare con sempre maggiore frequenza simboli, ritualità e immaginari collettivi per costruire consenso, rafforzare identità e differenziare gli schieramenti. Dall’universo narrativo del Signore degli Anelli alle kermesse di partito, dai richiami alla tradizione locale fino ai rituali consolidati come Pontida, la scena politica incorpora elementi culturali eterogenei per parlare a pubblici diversi e rinnovare linguaggi ormai saturi. Questo fenomeno emerge con forza dagli eventi più recenti, dove i contenuti politici si intrecciano a scenografie, riferimenti letterari, icone pop e richiami simbolici che mirano ad amplificare messaggi e appartenenze.
L’uso del riferimento all’opera di Tolkien, da tempo presente in alcuni ambienti della destra politica italiana, rappresenta uno degli esempi più significativi. L’universo creato dallo scrittore britannico è diventato negli anni un repertorio narrativo utilizzato come metafora di lotta, appartenenza e valori identitari. Non si tratta di una novità assoluta: già dagli anni Ottanta alcune aree giovanili della destra avevano iniziato a reinterpretare i testi tolkieniani come allegorie politiche. Oggi però diese narrazioni assumono nuova rilevanza all’interno di un contesto di comunicazione politica in cui la componente simbolica ha un peso crescente rispetto agli argomenti programmatici. L’attribuzione di significati politici a un immaginario fantasy risponde al bisogno di creare coesione emotiva e di parlare alle generazioni più giovani attraverso linguaggi riconoscibili.
Parallelamente, eventi come Atreju, divenuti negli anni veri e propri rituali annuali, rappresentano non solo un momento di confronto politico ma un luogo in cui si costruisce la rappresentazione identitaria di una comunità. L’allestimento scenico, gli ospiti, la scelta dei temi e perfino il tono complessivo della manifestazione concorrono a rafforzare l’immagine di un partito come organizzatore di una comunità politica dotata di simboli e tradizioni proprie. L’obiettivo è creare un senso di appartenenza che non si esaurisca nell’immediatezza del dibattito, ma che rimanga saldo nella percezione dell’elettorato anche al di fuori delle scadenze elettorali.
Un altro esempio emblematico è rappresentato dalla lunga tradizione di Pontida, il raduno storico della Lega, in cui simboli territoriali, ritualità consolidate e riferimenti alla cultura padana costituiscono l’ossatura della narrazione politica del movimento. L’uso dell’ampolla del Po, la centralità del riferimento al territorio e la riproposizione di gesti simbolici hanno creato negli anni un immaginario immediatamente riconoscibile, capace di parlare alla base storica del partito. Anche quando la Lega ha ampliato il proprio perimetro politico nazionale, questi simboli sono rimasti strumenti identitari utili a mantenere un legame con la sua origine.
Il ricorso a rituali e simboli non riguarda però solo la destra. Anche nelle altre aree politiche emergono dinamiche simili, sebbene spesso più sobrie o meno evidenti. Manifestazioni, congressi, slogan e scelte scenografiche diventano parte integrante della comunicazione. La politica contemporanea, segnata da una crescente frammentazione del consenso e dalla rapidità dei cicli mediatici, richiede infatti modalità di espressione che vadano oltre la dimensione razionale, facendo leva su memoria, emozione e appartenenza. In questo contesto, la costruzione simbolica diventa uno strumento imprescindibile per definire la propria identità e differenziarsi dagli avversari.
L’uso di riti politici e richiami simbolici evidenzia un fenomeno più profondo: la necessità per i partiti di creare narrazioni che permettano di orientarsi in uno scenario complesso. Gli elettori, sempre più esposti a flussi informativi frammentati, richiedono messaggi immediati e riconoscibili. I simboli rispondono a questa esigenza, offrendo un linguaggio che può condensare identità, storia e valori in un’unica immagine o gesto rituale. Questo spiega perché le forze politiche investano nella costruzione di eventi strutturati, dotati di un forte impatto visivo e simbolico.
Il rischio, naturalmente, è che la dimensione simbolica prenda il sopravvento su quella contenutistica. La politica spettacolarizzata — amplificata dai social media e dalla necessità di mantenere una narrazione costante — può portare a una riduzione del dibattito su questioni sostanziali, sostituito da una competizione di immaginari e scenografie. Tuttavia, finché i simboli rimangono strumenti al servizio della comunicazione e non sostituti dei contenuti, essi rappresentano una componente fisiologica della vita democratica.
Il quadro che emerge è quello di una politica che utilizza riti, narrazioni visive e simboli culturali come strumenti strategici per mantenere coesione, costruire identità e orientare il dibattito. Dai miti letterari alle tradizioni radicate nei territori, passando per le rappresentazioni pubbliche dei partiti, questi elementi diventano parte essenziale della comunicazione politica contemporanea, con un’influenza crescente sulle percezioni e sulle dinamiche del consenso.

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