Il lavoro in Italia tra transizione settoriale e sfida salariale europea
- Giuseppe Politi
- 24 apr
- Tempo di lettura: 2 min
L’occupazione italiana si muove su un crinale complesso, dove la transizione settoriale e la metamorfosi dei modelli produttivi impongono una lettura accurata delle dinamiche occupazionali. La fotografia attuale mostra un mercato del lavoro in lento recupero post-pandemico, ma profondamente segnato da squilibri territoriali, fragilità contrattuali e bassa remunerazione media.
Nel 2024, l’occupazione in Italia ha registrato un incremento nei comparti dei servizi (+2,3%), soprattutto in sanità, istruzione privata, logistica e turismo, mentre si è assistito a una stagnazione nel comparto manifatturiero tradizionale e a un calo dell’occupazione nell’industria pesante (-1,5%). Il settore tecnologico e digitale, pur rappresentando ancora una quota limitata dell’occupazione complessiva, cresce con tassi significativi (+5,1%), guidato da investimenti nel cloud, cybersecurity e intelligenza artificiale.
Il comparto agricolo continua a subire un’erosione lenta ma costante, soprattutto nelle aree del Sud, mentre il settore edilizio ha beneficiato della proroga di alcuni incentivi alla riqualificazione energetica, mantenendo stabile il livello occupazionale.
Tuttavia, l’aspetto salariale rappresenta uno degli elementi più critici nel confronto con i partner europei. Secondo i dati Eurostat, nel 2023 il salario medio annuo lordo in Italia si è attestato attorno ai 31.000 euro, contro i 43.200 della Germania, i 41.800 dei Paesi Bassi e i 39.700 della Francia. Il gap si amplia ulteriormente se si considerano i salari netti e si applica la variabile del potere d’acquisto: l’Italia risulta penalizzata da un alto carico fiscale sul lavoro e da una crescita del costo della vita non compensata da dinamiche salariali adeguate.
Le retribuzioni italiane, ferme da oltre un decennio, scontano un ritardo nella contrattazione collettiva e nella valorizzazione del capitale umano. L’assenza di un salario minimo legale, diversamente da quanto avviene in Francia, Germania o Spagna, contribuisce a consolidare segmenti di lavoro povero e ad alimentare la stagnazione della domanda interna.
A preoccupare è anche la crescente polarizzazione: da un lato, lavori altamente specializzati, ben retribuiti, concentrati in poche aree metropolitane del Nord; dall’altro, una pletora di impieghi a bassa qualificazione, instabili e scarsamente retribuiti, con prevalenza nel Mezzogiorno.
Il sistema di welfare italiano, in parte innovato con misure come l’Assegno Unico Universale e le politiche attive del PNRR, resta tuttavia ancora fragile nel sostenere le transizioni professionali. La mobilità intersettoriale e geografica è ostacolata da inefficienze amministrative e da una formazione professionale spesso scollegata dal tessuto produttivo.
Il nodo strategico rimane la capacità del sistema Italia di attrarre investimenti e di ricollocare le proprie risorse umane verso settori ad alta intensità tecnologica, sostenendo nel contempo una contrattazione collettiva più dinamica e una redistribuzione salariale equa.
Комментарии