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Gaza, nuovi raid israeliani: almeno 12 vittime, tra cui 5 bambini. Cresce la rabbia contro Hamas nella Striscia

I raid condotti nelle ultime ore dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF) sulla Striscia di Gaza hanno provocato almeno 12 morti, secondo fonti locali citate dai media internazionali. Tra le vittime figurano cinque bambini, uno dei quali aveva appena sei mesi ed è deceduto assieme alla madre durante un bombardamento notturno. L’attacco è avvenuto nel campo di Al-Shati, area densamente popolata nei pressi di Gaza City, colpita più volte nelle recenti operazioni militari israeliane. L’escalation militare, che ha ripreso intensità dallo scorso 18 marzo, ha causato, secondo il Ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, la morte di almeno 830 persone solo nelle ultime due settimane.


Il numero totale delle vittime palestinesi dall’inizio della guerra del 7 ottobre 2023 ha ormai superato le 50.000 unità. Un dato drammatico che riflette la portata del conflitto, il più lungo e devastante degli ultimi decenni nella regione, e che continua ad avere conseguenze tragiche soprattutto sulla popolazione civile. La scarsità di cibo, acqua e medicinali, unita alla difficoltà di accedere alle cure ospedaliere, sta aggravando ulteriormente la situazione umanitaria.


Mentre le bombe continuano a cadere, cresce anche la protesta all’interno della Striscia. Decine di residenti di Khan Younis, nel sud del territorio, sono scesi in strada nelle ultime ore per manifestare apertamente contro Hamas, gridando slogan come “fuori Hamas” e “non parlate in nostro nome”. Si tratta della terza manifestazione in pochi giorni. Video diffusi sui social media mostrano scene inedite: manifestanti che accusano il movimento islamista di aver trascinato Gaza in una spirale di morte e distruzione, chiedendo il passaggio dei poteri all’Autorità nazionale palestinese (ANP) o all’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP).


Il portavoce di Fatah nella Striscia, Munther al-Hayek, ha colto l’occasione per invitare Hamas a “lasciare il governo” e “ascoltare la voce del popolo palestinese”. Secondo l’agenzia di stampa Wafa, al-Hayek ha dichiarato che la presenza di Hamas “è diventata una minaccia per la causa palestinese” e ha invocato una transizione istituzionale sotto la supervisione della comunità internazionale e con il coinvolgimento di organismi tecnici, come previsto nel piano di ricostruzione promosso dall’Egitto.


Anche Hamas, da parte sua, ha fatto sapere tramite alcuni dei suoi portavoce di essere “disposta a lasciare il controllo amministrativo della Striscia una volta che le ostilità saranno cessate”. Il movimento ha inoltre accolto con favore il piano egiziano, che prevede una prima fase di transizione affidata a un comitato tecnico di gestione del territorio.


Intanto, da Gerusalemme, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele non arretrerà nella pressione su Hamas fino a quando non verranno rilasciati gli ostaggi ancora nelle mani del gruppo armato. Parlando alla Knesset, Netanyahu ha affermato che, se Hamas continuerà a rifiutare ogni proposta di scambio o liberazione, Israele risponderà con ulteriore intensificazione militare e con “la confisca di territori” nella Striscia. “Lo dico chiaramente ai membri della Knesset e ad Hamas: se non ci sarà cooperazione, le nostre operazioni proseguiranno con forza maggiore”, ha detto Netanyahu, lasciando intendere che le operazioni di terra potrebbero estendersi oltre le aree attualmente controllate.


L’uso della forza da parte di Israele e la presenza ancora radicata di Hamas nella Striscia stanno ponendo interrogativi cruciali sul futuro di Gaza. Aumentano i timori per una nuova crisi umanitaria su larga scala, con oltre un milione di sfollati che già vivono in condizioni estreme. Gli aiuti internazionali, bloccati da settimane ai valichi di frontiera, non riescono a soddisfare le necessità primarie della popolazione, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Croce Rossa Internazionale lanciano appelli quotidiani per ottenere corridoi umanitari stabili e sicuri.


Il dibattito sulla governance futura della Striscia è ormai entrato nella fase decisiva. Sul tavolo, oltre al piano egiziano, restano anche le proposte provenienti dagli Stati Uniti e da Paesi europei, che prevedono un ruolo rafforzato per l’ANP e un coinvolgimento delle Nazioni Unite. Tuttavia, la persistenza del conflitto armato e l’assenza di un cessate il fuoco stabile rendono ancora lontana ogni ipotesi di soluzione politica.


Il riaccendersi della protesta interna, mai così forte e visibile dall’inizio della guerra, sembra rappresentare un segnale chiaro del crescente malcontento popolare. In una Striscia sempre più isolata e devastata, la voce dei civili si sta facendo strada tra le macerie. Per la prima volta, a distanza di mesi dall’inizio delle ostilità, cresce l’ipotesi che un cambiamento nel panorama politico palestinese possa arrivare proprio da dentro Gaza. Un cambiamento che, se sostenuto da reali garanzie internazionali, potrebbe aprire a una nuova fase del conflitto mediorientale.

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