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Auto aziendali, l’allarme del noleggio: senza salvaguardia fiscale rischio 70.000 vetture in meno nel 2025

Il settore del noleggio a lungo termine lancia un grido d’allarme sul futuro delle auto aziendali in Italia. Con la dichiarazione di inammissibilità dell’emendamento alla norma fiscale sui fringe benefit contenuto nel decreto bollette, l’industria del leasing e dell’autonoleggio teme un effetto domino: una contrazione del 30% nelle immatricolazioni rispetto al 2023, pari a circa 70.000 veicoli in meno, e una perdita stimata di 2,7 miliardi di euro di prodotto interno lordo. A denunciarlo è l’Aniasa, l’associazione che rappresenta il comparto, secondo la quale la mancanza di una salvaguardia normativa ha messo in crisi aziende, clienti e tutta la filiera dell’automotive.


Alla base della criticità vi è l’incertezza sulla tassazione dei benefit aziendali legati all’uso promiscuo delle vetture a noleggio. Dopo un iter legislativo tormentato, l’ultima possibilità di correzione normativa, proposta nel contesto del decreto bollette dal presidente della commissione Bilancio della Camera, Marco Osnato (Fratelli d’Italia), è stata scartata per “estraneità di materia” dal presidente della commissione Attività produttive, Alberto Gusmeroli (Lega). Un epilogo che ha colpito duramente un comparto già sotto pressione, lasciando irrisolta la questione delle regole applicabili ai contratti firmati entro il 2024, oggi soggetti a un’interpretazione incerta e frammentaria.


L’impatto sulle decisioni di acquisto e rinnovo dei parchi auto da parte delle imprese è stato immediato. Molti clienti stanno infatti optando per la proroga dei contratti in essere, rimandando le decisioni su nuove immatricolazioni in attesa di chiarezza normativa. Questo atteggiamento prudenziale rischia di colpire non solo le società di noleggio, ma anche le case automobilistiche, i concessionari e i fornitori di servizi collegati. L’Aniasa stima che, in assenza di un intervento correttivo, il blocco degli ordini causerà un danno significativo alla mobilità aziendale, con pesanti ripercussioni anche sul rinnovo del parco circolante italiano, tra i più obsoleti d’Europa.


Il tema è particolarmente delicato anche dal punto di vista fiscale. Il nodo riguarda la corretta quantificazione del fringe benefit, ovvero il valore dell’auto aziendale in uso promiscuo che concorre alla formazione del reddito imponibile del dipendente. Senza una linea guida chiara, il rischio è che lo stesso veicolo venga tassato in modo differente a seconda del momento di stipula del contratto e della tipologia di alimentazione, generando disparità e incertezza sia per le aziende sia per i lavoratori.


La proposta di fissare una “linea di demarcazione” al 30 giugno 2024 per distinguere i regimi fiscali applicabili è apparsa agli operatori poco chiara e difficilmente interpretabile. In assenza di una norma transitoria condivisa, Aniasa, insieme ad Anfia e Unrae, ha chiesto l’apertura urgente di un tavolo ministeriale che possa chiarire il quadro e ristabilire la certezza del diritto. La recente nota della Commissione europea sul ruolo strategico delle flotte aziendali per la decarbonizzazione del trasporto privato rafforza la richiesta di attenzione al tema.


Sul fronte politico, non tutto sembra perduto. Il viceministro all’Economia Maurizio Leo ha dichiarato di voler risolvere la questione, anche valutando la possibilità di inserire la norma all’interno del prossimo decreto sugli acconti Irpef, previsto per dopo il 10 aprile, in concomitanza con la presentazione del Documento di economia e finanza (Def). È in corso anche un tentativo di ricorso all’Ufficio di Presidenza della Camera per ottenere l’ammissibilità dell’emendamento respinto.


Nel frattempo, l’intero settore attende risposte chiare. I rappresentanti delle aziende chiedono una revisione strutturale del regime fiscale delle auto aziendali, che tenga conto delle evoluzioni tecnologiche e del mix energetico sempre più variegato. La netta prevalenza delle vetture a motore termico tra quelle in uso promiscuo (87% del totale) rappresenta una sfida che va affrontata con strumenti efficaci e non con misure punitive che rischiano di frenare gli investimenti e rallentare il processo di rinnovo del parco circolante.


Il mancato intervento normativo rischia non solo di disincentivare la mobilità aziendale efficiente e sostenibile, ma anche di colpire duramente uno dei settori chiave della manifattura e dei servizi italiani. Con circa un milione di famiglie coinvolte nei benefici derivanti dalle vetture aziendali, e un comparto che genera valore e occupazione lungo tutta la filiera, l’appello delle imprese non può restare inascoltato. Per questo motivo, le associazioni di categoria chiedono con urgenza al MEF e al governo una soluzione tempestiva e strutturata, che consenta alle imprese di pianificare con certezza i propri investimenti e garantisca al sistema-Paese una mobilità aziendale moderna, sostenibile ed efficiente.

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