top of page
Jlc news - blu.png

USA, giudice federale blocca il piano asilo di Trump: “Non può riscrivere la legge sull’immigrazione”

Un giudice federale della California ha bloccato uno dei pilastri del piano immigrazione di Donald Trump, stabilendo che l’ex presidente non può modificare unilateralmente la normativa sull’asilo politico. La decisione, destinata ad avere un impatto rilevante sul dibattito elettorale in corso negli Stati Uniti, arriva in un momento delicato, con la corsa presidenziale del 2024 che si intensifica e l’immigrazione al confine sud tornata al centro dell’agenda politica. Il provvedimento giudiziario riguarda una norma varata durante l’amministrazione Trump e ripresa in parte dalla presidenza Biden, che prevedeva la possibilità di respingere le richieste d’asilo da parte di migranti entrati negli USA senza aver prima fatto domanda in un altro Paese attraversato.


Il giudice distrettuale Jon Tigar, con sede a Oakland, ha ritenuto la misura in contrasto con la legge federale sull’immigrazione, ribadendo che il diritto di chiedere asilo negli Stati Uniti non può essere limitato arbitrariamente da provvedimenti esecutivi. La legge vigente, infatti, consente a chiunque si trovi fisicamente sul suolo americano di presentare una richiesta di asilo, indipendentemente dalla modalità di ingresso nel Paese. Secondo la sentenza, la restrizione imposta dal provvedimento presidenziale crea un ostacolo ingiustificato all’esercizio di un diritto fondamentale riconosciuto dal diritto statunitense e internazionale.


Una misura già al centro di polemiche e contestazioni legali

La misura oggetto della sentenza era stata introdotta per la prima volta nel 2019 durante l’amministrazione Trump, sotto la denominazione di “third-country asylum rule”. Essa prevedeva che i migranti centroamericani, in particolare quelli provenienti da Honduras, Guatemala ed El Salvador, fossero obbligati a presentare domanda di asilo nei Paesi attraversati prima di arrivare al confine statunitense. Chi non rispettava tale condizione vedeva respinta automaticamente la propria richiesta. La logica, secondo l’allora amministrazione, era scoraggiare i cosiddetti “asylum shoppers”, migranti che attraversano più Stati per cercare asilo nel Paese che ritengono più vantaggioso.


La norma era stata più volte impugnata in tribunale e sospesa, ma alcuni suoi elementi erano stati reintrodotti dalla Casa Bianca anche sotto l’attuale presidenza Biden, nell’intento di arginare l’afflusso record di migranti al confine meridionale, dove gli ingressi irregolari hanno raggiunto picchi superiori ai 200.000 al mese in alcuni periodi del 2023. Il Dipartimento della Sicurezza Interna (DHS) aveva giustificato il ripristino della misura con la necessità di “garantire un processo ordinato” e di “non incentivare ingressi pericolosi e non regolati”.


La decisione del giudice Tigar, che si basa su motivazioni giuridiche dettagliate, stabilisce che le autorità esecutive non possono subordinare il diritto di asilo al transito in altri Stati, salvo modifiche esplicite della legislazione da parte del Congresso. Il magistrato ha evidenziato come la legge statunitense, risalente al Refugee Act del 1980, non preveda alcun obbligo per i richiedenti di dimostrare di non aver potuto ottenere protezione in altri Paesi, a meno che tali Paesi non siano considerati “safe third countries” sulla base di accordi bilaterali formali, come quello in vigore tra USA e Canada.


Reazioni politiche e istituzionali dopo la sentenza

La sentenza ha suscitato reazioni immediate sul piano politico. Da parte democratica, diversi esponenti hanno accolto con favore la decisione, definendola un importante passo verso il ripristino della legalità costituzionale e dei diritti umani. Secondo il senatore Alex Padilla della California, “nessun presidente può ignorare la legge federale sull’asilo per motivi politici o ideologici. La decisione del giudice Tigar ristabilisce un principio fondamentale del nostro ordinamento”.


Sul fronte repubblicano, le reazioni sono state diametralmente opposte. Molti parlamentari conservatori hanno accusato la magistratura di interferire con le prerogative dell’esecutivo e di ostacolare il controllo dei confini. Lo stesso Donald Trump ha commentato con un comunicato diffuso attraverso i suoi canali ufficiali, sostenendo che “i giudici liberal vogliono distruggere l’America aprendo le porte ai criminali clandestini”. Ha inoltre ribadito che, se rieletto, ripristinerà in pieno la regola del transito obbligato nei Paesi terzi.


La Casa Bianca ha evitato per ora dichiarazioni polemiche, ma ha espresso delusione per la decisione e ha annunciato che il Dipartimento di Giustizia presenterà appello. Fonti interne all’amministrazione hanno precisato che il provvedimento rappresentava solo una parte di una strategia più ampia per regolare i flussi migratori, che include anche l’aumento dei visti regolari, la collaborazione con i Paesi latinoamericani e l’utilizzo di strumenti tecnologici per il monitoraggio del confine.


Il ruolo della Corte Suprema e gli scenari futuri

La questione è destinata a finire davanti alla Corte Suprema, già intervenuta in passato su casi simili. In particolare, nel 2020, la Corte aveva temporaneamente autorizzato l’entrata in vigore della norma durante l’iter giudiziario, salvo poi annullarla dopo la fine dell’amministrazione Trump. Il nuovo ricorso potrebbe portare a un pronunciamento definitivo entro il 2025, alimentando ulteriormente il dibattito politico ed elettorale.


La decisione del giudice Tigar apre una riflessione più ampia sul ruolo del diritto nell’ambito delle politiche migratorie. Se da un lato gli Stati hanno la facoltà di regolamentare l’ingresso nel proprio territorio, dall’altro esistono principi inderogabili di diritto internazionale che impongono la protezione dei rifugiati e vietano i respingimenti collettivi. L’equilibrio tra sicurezza e diritti resta quindi il nodo centrale, soprattutto in contesti di pressione migratoria elevata.


In parallelo, numerose organizzazioni non governative e centri legali per i diritti dei migranti hanno espresso soddisfazione per la sentenza. Secondo Human Rights First, il provvedimento rappresenta “una vittoria per lo Stato di diritto e per migliaia di persone che cercano protezione da persecuzioni, violenze e torture”. Anche il National Immigration Law Center ha ricordato che “le leggi non possono essere riscritte dall’esecutivo per comodità politica”.


La battaglia giuridica sulla regola del transito non è solo una questione tecnica, ma si inserisce in un contesto profondamente divisivo nella politica americana. Il tema dell’immigrazione sarà centrale nella campagna per le presidenziali 2024 e la decisione del giudice federale potrebbe segnare uno spartiacque, rilanciando il dibattito sul confine tra legalità e autoritarismo, tra sicurezza nazionale e diritti fondamentali.

Post correlati

Mostra tutti

Comments


Le ultime notizie

bottom of page