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Turchia: l’arresto di Ekrem İmamoğlu riaccende la protesta e mobilita 15 milioni di sostenitori

L’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, avvenuto lo scorso 23 marzo su ordine di un tribunale turco, ha innescato una delle più ampie ondate di protesta popolare in Turchia degli ultimi anni. Accusato di corruzione, abuso d’ufficio e presunti legami con organizzazioni terroristiche, İmamoğlu già condannato in primo grado nel 2022 per insulti a pubblici ufficiali e simbolo dell’opposizione laica e democratica al governo di Recep Tayyip Erdoğan, si trova nuovamente al centro di uno scontro istituzionale e politico che scuote le fondamenta del Paese.


Il suo arresto è giunto pochi giorni dopo la sua vittoria simbolica alle primarie organizzate dai sostenitori del Partito Repubblicano del Popolo (CHP), in cui ha ottenuto oltre 15 milioni di preferenze in tutta la Turchia, rafforzando la propria legittimazione popolare come principale sfidante di Erdoğan alle elezioni presidenziali del 2026. La mobilitazione, che ha assunto la forma di votazione popolare attraverso centinaia di gazebo e seggi informali allestiti in città e villaggi, si è trasformata in una dimostrazione di forza e protesta contro l’azione giudiziaria percepita da molti come un atto repressivo e autoritario.


Subito dopo l’arresto, decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Istanbul, Ankara, Smirne e in altre grandi città del Paese. Le manifestazioni, inizialmente pacifiche, si sono scontrate con l’intervento delle forze dell’ordine, che hanno utilizzato gas lacrimogeni, idranti e cariche per disperdere la folla. In cinque giorni, secondo i dati forniti dall’organizzazione per i diritti umani Tihv, sono stati oltre 1.100 i manifestanti arrestati, inclusi giornalisti, studenti, attivisti e rappresentanti locali dell’opposizione. Il governo ha giustificato i fermi parlando di “provocazioni organizzate” e “minacce alla sicurezza nazionale”.


Il presidente Erdoğan ha difeso l’azione della magistratura, affermando in un discorso televisivo che “nessuno è al di sopra della legge” e che “İmamoğlu deve rispondere delle sue azioni come qualsiasi altro cittadino”. Tuttavia, le opposizioni e diversi osservatori internazionali vedono nel procedimento giudiziario una chiara strumentalizzazione politica della giustizia per neutralizzare un avversario carismatico e pericoloso per l’establishment. La portavoce dell’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione Europea ha espresso “profonda preoccupazione” per l’evolversi della situazione, invitando Ankara a rispettare i diritti civili e la libertà di espressione. Amnesty International e Human Rights Watch hanno condannato l’arresto parlando di “accuse infondate e intimidazione politica”.


İmamoğlu, che ha trascorso i primi giorni di detenzione in isolamento nel carcere di Silivri, ha affidato ai suoi avvocati un messaggio ai cittadini, pubblicato dal CHP: “Non vi arrendete. Questo è un momento difficile, ma anche una prova di forza democratica. Il nostro sogno per una Turchia libera, giusta e unita è più vivo che mai”. Le sue parole hanno riacceso ulteriormente la mobilitazione, con flash mob quotidiani, concerti di solidarietà e manifestazioni di protesta anche nelle comunità turche all’estero. A Berlino, Parigi e Londra, migliaia di persone si sono radunate davanti alle ambasciate turche chiedendo l’immediata liberazione del sindaco di Istanbul e l’intervento della comunità internazionale.


Il sindacato dei giornalisti Disk-Basin-Is ha denunciato in questi giorni un’escalation di censura e repressione nei confronti dei media indipendenti: almeno 700 account social sono stati oscurati e numerosi giornalisti sono stati arrestati per aver coperto le proteste. Le principali emittenti televisive hanno ricevuto avvertimenti formali dall’autorità per le comunicazioni RTÜK, che ha minacciato sospensioni e multe per “trasmissioni non oggettive”. Nonostante ciò, diverse testate online e pagine social vicine all’opposizione stanno continuando a documentare in tempo reale la mobilitazione nazionale.


Dal punto di vista politico, il Partito Popolare Repubblicano si è riunito in sessione straordinaria per ribadire il proprio sostegno a İmamoğlu e per pianificare nuove forme di protesta istituzionale. Tra le ipotesi allo studio, la possibilità di boicottare le prossime elezioni municipali in segno di protesta o di proporre un referendum per chiedere una riforma costituzionale che garantisca l’indipendenza della magistratura. Il presidente del CHP, Özgür Özel, ha dichiarato: “La battaglia per la democrazia non si combatte solo nelle urne, ma nelle piazze, nei tribunali e nella coscienza di ogni cittadino turco”.


Nel frattempo, cresce l’incertezza anche sul piano economico. I mercati finanziari hanno reagito negativamente all’arresto del sindaco di Istanbul, con la lira turca che ha perso il 4% in tre giorni e la Borsa di Istanbul che ha registrato una serie di sedute in ribasso. Gli investitori internazionali temono un ulteriore deterioramento dello stato di diritto e un inasprimento delle tensioni sociali. Alcuni analisti vedono in questo scenario un rischio concreto per la stabilità interna del Paese, già provata dall’inflazione elevata, dalla disoccupazione in crescita e dal calo della fiducia dei consumatori.


L’arresto di İmamoğlu, in definitiva, non ha solo avuto l’effetto di colpire un singolo politico, ma ha aperto un fronte ampio e inedito tra la società civile e il potere centrale. La Turchia si ritrova così in una fase di scontro aperto tra chi difende un’idea di democrazia partecipativa e inclusiva e chi, al contrario, persegue una gestione accentrata e repressiva del potere. L’epilogo di questa crisi dipenderà dalla capacità delle istituzioni di mantenere equilibrio e legittimità, ma anche dalla forza della mobilitazione popolare che, per ora, non accenna a diminuire.

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