Per l’irrogazione della sanzione tributaria all’amministratore di fatto di una società di capitali non basta la circostanza che la società abbia utilizzato fatture per operazioni inesistenti, occorre invece la prova che la società svolga una funzione passiva, meramente servente all’utilità ricavata dall’amministratore. La questione involgeva una contestazione di emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti: la società cartiera che aveva emesso delle fatture soggettivamente inesistenti utilizzate a valle da una società, della quale era stato ritenuto amministratore di fatto il signor XY, ricorrente in Cassazione. L’ufficio dell’agenzia delle Entrate, sulla base delle circostanze rappresentate dall’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti da parte della società rappresentata, e dalla qualificazione come amministratore di fatto del signor XY, ha ritenuto di potere irrogare la sanzione tributaria, in solido, tanto alla società che all’amministratore di fatto. La Cassazione ha osservato che la condotta dell’Ufficio risulta contraddittoria, rispetto alla tesi sostenuta, nella parte in cui esso irroga la sanzione, in via solidale, tanto alla società che all’amministratore di fatto. Delle due l’una: o la società è fittizia, poiché l’unico contribuente è l’amministratore, e allora la stessa non può essere sanzionata, oppure la società è “viva” ma allora non si può sanzionare l’amministratore di fatto.
Corte di cassazione - Sezione Tributaria - Sentenza 23 gennaio 2023 n. 1946

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