Le banche italiane non quotate arrancano sulla sostenibilità: il report impietoso di Standard Ethics
- Martina Migliorati
- 14 apr
- Tempo di lettura: 2 min

Le banche italiane non quotate mostrano gravi ritardi nell’integrazione dei principi ESG (Environmental, Social e Governance) nelle loro strategie e attività operative. A segnalarlo è un rapporto pubblicato da Standard Ethics, agenzia indipendente con sede a Londra, specializzata nella valutazione della sostenibilità, che ha analizzato un campione di 43 istituti selezionati tra i primi 100 per mezzi amministrati, escludendo le banche estere e quelle già quotate. La ricerca ha preso in esame 23 indicatori suddivisi in quattro macroaree: procedure e policy ESG, obiettivi ESG, valutazioni ESG e politiche ESG specifiche per il settore bancario. I risultati sono allarmanti: solo il 14% delle banche analizzate pubblica una policy ambientale, appena il 9% ha una policy sui diritti umani e nessuna ha sviluppato linee guida sull’uso dell’intelligenza artificiale. Inoltre, soltanto il 19% ha adottato una policy sulla parità di genere e il 26% una sulla diversità e l’inclusione.
L’unica area in cui le banche non quotate sembrano avvicinarsi agli standard delle banche quotate è quella ambientale. Una tendenza che, secondo Jacopo Schettini Gherardini, Direttore dell’Ufficio Ricerca di Standard Ethics, è dovuta soprattutto all’intensificarsi delle normative europee. Tuttavia, ciò lascia scoperte aree altrettanto cruciali. “È una visione che lascia che alcuni rischi non siano né individuati, né gestiti, né mitigati”, ha dichiarato l’esperto a Teleborsa.
Nonostante il 98% degli istituti pubblichi un Codice Etico o di Condotta, solo il 22% di questi risulta in linea con i riferimenti internazionali provenienti da ONU, OCSE e UE. Inoltre, soltanto il 55% delle banche fornisce una rendicontazione ESG standardizzata, evidenziando una generale debolezza nel governo della sostenibilità.
Per quanto riguarda la rappresentanza di genere, il quadro è ancora deludente: la presenza del genere meno rappresentato nei Consigli di Amministrazione si attesta mediamente al 30%, e solo 6 banche, pari al 14% del campione, hanno raggiunto la parità di genere all’interno dei CdA. Il rapporto evidenzia anche la mancanza di una visione strategica. In molti casi, le politiche ESG appaiono sporadiche, spesso affidate a consulenti esterni, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione e la rendicontazione. Questo porta a una scarsa coerenza delle informazioni pubbliche in tema di gestione dei rischi ESG, governance, politiche e obiettivi di sostenibilità. L’allineamento agli standard internazionali, seppur avviato da alcune realtà, resta sporadico e frammentato. Un dato emblematico: solo il 7% delle banche non quotate ha un rating ESG indipendente, contro il 100% delle banche quotate.
Schettini Gherardini guarda comunque con cautela all’evoluzione del settore. “Siamo in un periodo storico in cui è molto forte la richiesta da parte dei clienti di trasparenza sui temi ESG”, osserva, sottolineando anche come la posticipazione di alcuni obblighi di rendicontazione da parte della Commissione Europea rischi di disorientare ulteriormente le banche non preparate. Tuttavia, proprio questo scenario potrebbe rappresentare un’occasione per investire nella formazione interna e adottare parametri più coerenti, riducendo la dipendenza da consulenti esterni e promuovendo un’autentica cultura della sostenibilità.
Il divario rispetto alle banche quotate e agli standard internazionali è ancora profondo. E sebbene non manchino segnali positivi, l’impressione generale è quella di un sistema che si muove con lentezza e frammentazione, proprio quando la finanza sostenibile è destinata a diventare il nuovo baricentro del settore bancario europeo.
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