La Cina rallenta sull’export e cresce la pressione deflattiva: tra fragilità interna, crisi immobiliari e tensioni commerciali, Pechino ripensa le sue leve di crescita
- piscitellidaniel
- 9 giu
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Nel mese di maggio 2025, l’economia cinese ha mostrato nuovi segnali di debolezza strutturale. I dati pubblicati dalla General Administration of Customs e dall’Ufficio nazionale di statistica hanno evidenziato un rallentamento dell’export e un rafforzamento delle spinte deflattive, nonostante gli sforzi del governo per sostenere la domanda interna e stimolare la crescita attraverso una politica monetaria espansiva. Le esportazioni cinesi sono cresciute del 4,8% su base annua, un dato in calo rispetto all’8,1% registrato ad aprile, ben al di sotto delle attese del mercato. Si tratta del tasso di crescita più basso degli ultimi tre mesi, che riflette l’indebolimento della domanda globale e, in particolare, le difficoltà nei rapporti commerciali con gli Stati Uniti.
Il dato più preoccupante riguarda proprio le esportazioni verso il mercato americano, diminuite del 34,5% su base annua, registrando il peggior risultato dal febbraio 2020, cioè dalla fase iniziale della pandemia. Una contrazione di queste proporzioni ha pesanti implicazioni sia per le prospettive dell’industria manifatturiera cinese sia per la sostenibilità dell’avanzo commerciale, da sempre un pilastro del modello di crescita di Pechino. Al tempo stesso, anche le esportazioni verso l’Unione Europea hanno mostrato una dinamica piatta, con segnali di stagnazione che riflettono l’indebolimento della domanda in Germania, Francia e Italia.
Il fronte delle importazioni non offre segnali incoraggianti. A maggio, le importazioni sono diminuite del 3,4% rispetto allo stesso mese del 2024. Si tratta del secondo mese consecutivo in cui la Cina importa meno rispetto all’anno precedente, a dimostrazione di una domanda interna ancora fragile e condizionata dal calo degli investimenti nel settore immobiliare, dai livelli ancora bassi di fiducia dei consumatori e da un mercato del lavoro che non si è ancora pienamente stabilizzato dopo le riforme strutturali imposte tra il 2022 e il 2023.
Particolarmente significativi sono stati i cali nelle importazioni di materie prime energetiche e industriali: il petrolio greggio, il carbone e il minerale di ferro hanno registrato volumi in netta diminuzione. La lettura di questi dati suggerisce un raffreddamento dell’attività industriale, in contrasto con le aspettative formulate a inizio anno di una ripresa robusta trainata dalle esportazioni high-tech e dalla produzione di veicoli elettrici.
Sul fronte dei prezzi, la Cina si confronta con un doppio segnale negativo. L’indice dei prezzi alla produzione (PPI) ha segnato un -3,3% annuo, la contrazione più profonda degli ultimi 22 mesi, a indicare una pressione deflattiva proveniente dal settore industriale e manifatturiero. Contemporaneamente, l’indice dei prezzi al consumo (CPI) ha registrato un -0,1%, restando in territorio negativo per il secondo mese consecutivo. Si tratta di un dato che allarma le autorità economiche del Paese, in quanto testimonia una debolezza persistente della domanda e rafforza i timori legati a un circolo vizioso deflattivo simile a quello che ha caratterizzato il Giappone negli anni '90.
Il governo cinese ha risposto a questa dinamica con un mix di strumenti monetari e fiscali. La Banca centrale ha recentemente ampliato il programma di prestiti agevolati alle imprese per un totale di 500 miliardi di yuan, mentre il ministero delle Finanze ha accelerato l’emissione di obbligazioni speciali locali per sostenere progetti infrastrutturali. Le autorità cinesi hanno anche confermato la riduzione dei tassi di interesse di riferimento, nel tentativo di stimolare i consumi e rilanciare gli investimenti privati. Tuttavia, gli effetti di queste misure tardano a manifestarsi con efficacia, segno che i nodi strutturali dell’economia cinese non possono più essere affrontati con gli strumenti tradizionali.
A peggiorare il quadro si aggiunge la crescente incertezza sui mercati internazionali. I dazi annunciati dagli Stati Uniti e il prolungarsi delle tensioni geopolitiche stanno avendo un impatto diretto sulle catene del valore globali. La Cina, nonostante gli sforzi diplomatici in corso, continua a essere percepita come un concorrente strategico da contenere, in particolare nei settori legati alla tecnologia avanzata, all’energia verde e ai semiconduttori. Le nuove barriere tariffarie e non tariffarie introdotte da Washington nei confronti dell’hi-tech cinese rendono ancora più difficile il compito del governo di Pechino, che cerca di mantenere alta la competitività del settore industriale e al contempo evitare una guerra commerciale su larga scala.
Le trattative tra i due paesi proseguiranno nei prossimi giorni a Londra, dove è previsto un nuovo round di colloqui economici ad alto livello. La delegazione cinese sarà guidata dal vicepremier He Lifeng, mentre quella statunitense sarà composta da funzionari del Dipartimento del Tesoro e del Dipartimento del Commercio. Sebbene vi siano spiragli di apertura per alcune categorie di prodotti, gli osservatori ritengono improbabile che si possa giungere a una soluzione strutturale nel breve termine.
In attesa di nuovi sviluppi, Pechino è chiamata a rafforzare gli strumenti interni per evitare che le spinte deflattive degenerino in una spirale negativa più profonda, capace di erodere ulteriormente consumi, investimenti e produzione industriale.
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