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Il divieto di ingerenza del socio accomandante nella s.a.s.: disciplina normativa, responsabilità illimitata e implicazioni giurisprudenziali




La società in accomandita semplice (s.a.s.) si distingue per la sua struttura ibrida, che unisce elementi delle società di persone e delle società di capitali. L’art. 2313 c.c. stabilisce chiaramente la differenza tra soci accomandatari e accomandanti: i primi sono titolari del potere di amministrazione e rispondono illimitatamente per le obbligazioni sociali; i secondi partecipano solo con il capitale conferito, beneficiando di una responsabilità limitata.

Questa distinzione trova fondamento anche nell’art. 2320 c.c., il quale sancisce un vero e proprio “divieto di ingerenza” per i soci accomandanti. Questi, infatti, non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non muniti di procura speciale per singoli affari. La violazione di tale divieto comporta conseguenze rilevanti: l’assunzione della responsabilità illimitata per tutte le obbligazioni sociali e, in alcuni casi, l’esclusione dalla società ai sensi dell’art. 2286 c.c.

La ratio legis della norma è molteplice. Da un lato, tutela l’equilibrio interno tra i soci, attribuendo la gestione solo a coloro che si assumono il rischio illimitato d’impresa; dall’altro, garantisce l’affidamento dei terzi, che devono poter contare sulla corrispondenza tra la forma societaria adottata e i poteri effettivamente esercitati dai vari soci.

Una delle problematiche più frequenti riguarda proprio la linea di demarcazione tra atti vietati e condotte ammissibili. La giurisprudenza, in particolare la Cassazione civile, Sez. I, con la sentenza n. 12806 del 10 maggio 2024, ha chiarito che l’ingerenza può essere configurata anche in presenza di atti isolati e non necessariamente continuativi, purché questi non siano meramente esecutivi e abbiano una reale incidenza sull’amministrazione della società. A nulla rileva che il socio accomandante agisca occasionalmente o per mera comodità: ciò che conta è la sostanza dell’atto.

Nel caso deciso dalla Cassazione con la sentenza sopra citata, la Corte ha confermato la pronuncia della Corte d’appello di Napoli che, a sua volta, aveva avallato la decisione del Tribunale di Nola. La vicenda riguardava una società s.a.s. dichiarata fallita. Il curatore aveva chiesto, ai sensi dell’art. 147 l.fall. (oggi art. 256 CCII), l’estensione della procedura anche alla socia accomandante, sostenendo che questa avesse esercitato poteri gestori in violazione dell’art. 2320 c.c. La donna contestava, affermando di aver compiuto solo attività esecutive per conto del padre e del fratello, soci accomandatari.

Tuttavia, i giudici hanno ritenuto decisivi i numerosi elementi probatori che dimostravano un’ingerenza sostanziale nella gestione: la procura generale rilasciata per operazioni bancarie, la firma su assegni, le richieste di fido bancario, l’organizzazione delle forniture. Tali atti, anche se formalmente giustificati dalla prossimità familiare, rappresentavano secondo la Cassazione un superamento del limite consentito e giustificavano la perdita della responsabilità limitata.

La Corte ha inoltre ribadito che il divieto di ingerenza non riguarda solo gli atti verso terzi, ma anche quelli di amministrazione interna. Questa interpretazione è coerente con la finalità pubblicistica della norma, che intende evitare un utilizzo strumentale della s.a.s. per eludere i presidi di responsabilità previsti per altri tipi societari.

L’effetto più grave della violazione del divieto è l’estensione del fallimento al socio accomandante, come previsto dall’art. 256 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Tale norma sancisce che l’apertura della liquidazione giudiziale si estende ai soci illimitatamente responsabili, inclusi quelli che, come nel caso dell’accomandante, abbiano assunto tale responsabilità per effetto della loro ingerenza nella gestione. La pronuncia della Cassazione, nel caso esaminato, ha confermato la piena applicabilità di tale estensione, rigettando il ricorso della socia e condannandola alle spese.

In conclusione, l’art. 2320 c.c. assume un valore cardine nella disciplina della s.a.s., rappresentando un argine alle interferenze gestorie dei soci accomandanti. La sua violazione non solo fa venir meno la responsabilità limitata, ma determina anche conseguenze patrimoniali gravi, specie in caso di liquidazione giudiziale. L’evoluzione giurisprudenziale, nel confermare la lettura rigorosa della norma, costituisce un forte monito per tutti i soggetti che operano in ambito societario e che intendano beneficiare della forma ibrida della s.a.s.: il rispetto delle competenze e dei ruoli è un presupposto imprescindibile per il mantenimento delle tutele e dei limiti di responsabilità previsti dalla legge.

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